Maledetti “bias cognitivi”! I tranelli della mente e le occasioni mancate

Questo telefono ha troppi difetti per essere seriamente considerato un mezzo di comunicazione e non ha nessun valore per noi”. Non si sa bene chi l’abbia scritto, quello che è certo è che l’autore di questa nota interna della Western Union Telegraphs sia senz’altro incorso in un epocale “bias cognitivo” quel maledetto giorno del 1876. Cos’è un “bias cognitivo”? Si potrebbe dire un errore di giudizio, solo che è molto più insidioso. Causa di inciampi un po’ per tutti e in ogni situazione (dal managment alla vita di coppia) i bias cognitivi possono essere un problema soprattutto per chi si occupa di comunicazione.

Ma prima una cosa: perché si chiamano proprio così? Il termine è inglese, “bias”, e deriva dal francese provenzale biais, che significa “obliquo, inclinato”. Sta a indicare appunto una “inclinazione, una predisposizione o pre-pregiudizio”. Sono cioè degli automatismi e, come tutti gli automatismi mentali, sono utili perché ci rendono la vita più semplice. Non sempre abbiamo tempo ed energia per affidarci alla logica, molto più spesso di quel che crediamo ci affidiamo infatti all’intuizione. E con buoni risultati. In altri casi però rischiamo di finire in autentici vicoli ciechi. Ed eccoci ai “bias cognitivi”.

Tra i più diffusi c’è quello di conferma (confirmation bias) e si “attiva” quando diamo importanza solo alle notizie che confermano quello di cui già siamo convinti. Sbagliato. Ancor di più se il tuo mestiere ha a che fare con lo stream incessante dei media, con la necessità di reinterpretare identità o di rinnovare immagini. Insomma, se il tuo mestiere ha a che fare con la creatività, la capacità di accogliere dati nuovi non può in alcun modo esserti fonte di stress.

Un altro bias molto diffuso è l’eccesso di fiducia (overconfidence). Ci occupiamo di un settore da anni, abbiamo una solida rete di contatti, abbiamo la certezza di avere la “nicchia” sotto controllo. Ecco, ci sono tutte le condizione ideali per sbagliare. L’overconfidence è il bias forse più pericoloso proprio perché il meno visibile. Valorizzare un prodotto, un brand, riconoscere una notizia o addirittura “crearla” richiede mestiere, il mestiere esperienza, l’esperienza la consapevolezza di poter gestire e prevedere le cose. E invece no, lo sforzo è saper ricominciare ogni volta daccapo. Se no può capitarti ti incocciare il telefono e non vederlo.

CF

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